Da una montagna di spazzatura, il “Kuro Fuji” (Fuji nero), in cui gli abitanti di Tokyo sono avvezzi gettare ogni sorta di rifiuto (cadaveri compresi), nasce un’orda di zombi che presto invaderà la città. I pochi sopravvissuti si rifugeranno in una sorta di fortezza in cui il divario sociale viene esasperato tanto da avere solo due distinzioni: benestanti e schiavi. Sebbene il plot ricordi molto l’ultimo capitolo romeriano, le analogie con il precedente (Day of the dead) sono più pertinenti. Fare dei parallelismi con altri film sarebbe però del tutto inutile, poiché “Tokyo zombie” è davvero unico nel suo genere. L’ironia tipica giapponese appare fin troppo ermetica agli occhi occidentali, un grottesco non-sense che rischia di essere confuso con la stupidità. Il ritmo tende a rallentare gradualmente, fino a raggiungere la quasi totale immobilità nel finale. Gli effetti speciali ed il make-up degli zombi sono molto grossolani e in netto contrasto con i buoni effetti digitali. Tutto quello che, a prima vista potrebbe avallare una critica negativa di questa pellicola, in effetti ne delinea gli aspetti positivi.
Chiariamo subito che “Tokyo zombie” non è un film horror “classico” e che gli zombi, seppur presenti ed affamati, sono solo un pittoresco contorno. La scelta di “stilizzare” al massimo gli effetti speciali e di conferire ai morti viventi quell’aura da ebeti inconsapevoli, caratterizzati dal lento incedere a braccia tese, non può che essere un evidente omaggio agli albori romeriani di tale stirpe e dei suoi “luoghi comuni” (il supermercato, la fuga in auto, la creazione di un isola “sicura”). Sato inferisce duri colpi (ma in punta di fioretto) al sistema sociale giapponese, criticando un po’ tutto il costume di un popolo “complesso” ed attaccando principalmente i vertici di tale struttura piramidale. Tuttavia il tema centrale del film è l’amore…in tutte le sue forme.
La vicenda si articola intorno ad una tenera storia di amicizia tra i due protagonisti, che a loro volta amano il Jujitsu fino ad elevarlo come stile di vita. Fujio e Yoko rappresentano la sintesi della coppia moderna. Ritrovatisi insieme un po’ fortuitamente, vanno avanti tra mille problemi che sfociano nel vicendevole accanimento “terapeutico”…fino al poetico finale. Amore e poesia tra orde di zombi, “Tokyo zombie” è questo. “Tokyo zombie” è fortemente giapponese. Ciò può far storcere il naso a chi è ormai assuefatto a determinati clichè (non tutti negativi) del cinema horror, ma operare uno sforzo non sarebbe una cattiva idea, in quanto questo film merita davvero di essere visto. Sato alla sua prima esperienza cinematografica si dimostra capace e palesa (senza timore) di aver lavorato con Miike.
Dimostrando inoltre quanto il sol levante sia prolifico in materia di registi (a prescindere dal valore del film) dotati tecnicamente. Cosa che avveniva anche in suolo italiano a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, quando cimentarsi dietro una cinepresa era un’opportunità anche per un esordiente e quando anche in produzioni a “budget zero” si aveva la possibilità di ammirare, quantomeno, il lavoro di seri professionisti. Grandi attori, tematiche difficili e delicate, uno stile prettamente nipponico riletto in chiave naif (da Yûsaku Hanakuma), ironia, amore, sangue e parecchie trovate interessanti tra cui un geniale finale. Chi si aspetta gli zombi di Zack Snyder, o il ritmo di Rob Zombie stia alla larga da “Tokyo zombie”.